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al testo di Abraxas
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Il solitario aveva un appartamento di dieci stanze al penultimo piano del grattacielo più alto con vista sull’infinito e uno yacht ancorato al porto da usare quando il mare era agitato. L’ingresso era vietato alle donne con lo smalto agli scrittori in pensione e alle maestranze.
L’ultima amante aveva fatto le valigie di notte tre lustri fa, portandosi dietro due limoni un pacco di sigarette e un camion di azioni della Apple. Ora poteva ascoltarla nelle canzoni stralunate che incideva insieme ai barboni del quartiere e a delle amiche strafatte.
Nel tempo libero lui giocava a scacchi e di norma perdeva, era il movimento del cavallo che non gli andava giù. Un tempo aveva provato a ingaggiare un cane ammaestrato per farselo spiegare, era stato uno sballo ma non era durato più di un giro di karma.
Il sesso non era più un problema da quando aveva acquistato un’azienda in perdita che produceva film porno per ciechi con tanto di sottotitoli per i dialoghi. L’attrice di punta gli aveva fatto visita e s’era sfilata le mutande gemendo.
Era uscito di casa per consultare la cartomante del circo in fondo al parco, aveva una stella in fronte, i denti cariati e una figlia pigra che segnava il tempo con una clessidra. Poi lui aveva deciso di farsi saltare le cervella dopo avere venduto all’asta un diamante.
Il colpo andato a vuoto non lo aveva sorpreso la pistola era caricata a salve per cautela era una messinscena a favore del fato. Quella sera stessa qualcuno aveva suonato alla porta per errore, una donna con una mela in mano, un sorriso leale e col volto disteso.
Non l’aveva mandata via, l’aveva fatta entrare si sentiva solo e il mare non era più il rifugio dal temporale. Giocarono a scacchi e perse ancora, lei aveva il raffreddore e la tosse ma gli sembrò sincera. Non mangiava formaggio si fermò la sera, la luce stava per tornare.
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